Cos’è la sharing economy: pro e contro dell’economia collaborativa

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Lucrezia Buccella

Social Media Manager

Da Melenikli Arsinoi (studente del Master in Digital Marketing Specialist)

Se qualcuno anni fa ci avesse detto che un giorno avremmo fatto una vacanza soggiornando presso l’abitazione di privati e non presso un albergo tradizionale, oppure che avremo prenotato una vacanza al mare senza appoggiarsi ad un’agenzia viaggi, né ad un tour operator, probabilmente avremmo faticato a crederci!

Eppure, con l’arrivo dei media digitali tutto ciò e molto altro ancora si è reso non solo possibile, ma è diventato addirittura una prassi per tantissimi utenti. La sharing economy è entrata nelle nostre vite, nel nostro quotidiano e oggi ci sono milioni di persone al mondo che usufruiscono dei servizi che essa mette a disposizione.

Ma cos’è davvero la sharing economy?

Cos’è la sharing economy?

La sharing economy o ‘’economia collaborativa’’ è un nuovo modello economico e culturale che si basa sull’utilizzo e sullo scambio di beni e servizi piuttosto che sul loro acquisto e, quindi, sull’accesso piuttosto che sul possesso. In questo contesto, gli utenti usufruiscono di beni, servizi e informazioni attraverso piattaforme digitali che creano un mercato aperto e che permettono la gestione online a livello globale.

Alcuni cittadini scelgono la condivisione di beni e servizi per far fronte alla crisi economica, altri semplicemente perché non sono interessati a compare un determinato bene poiché hanno la possibilità di averlo in ‘’prestito’’ da un altro utente per uso specifico.

È così che, mentre il capitalismo consumista si basava sulla soddisfazione dei bisogni attraverso l’acquisto, l’economia della condivisione propone il motto ‘’I need, you have’’ per soddisfare un’esigenza attraverso beni e proprietà altrui, riducendo i costi e creando valore economico.

I soggetti della sharing economy

Dopo esserci concentrati sulla risposta alla domanda “cos’è la sharing economy”, possiamo passare ad illustrare quali sono i soggetti che caratterizzano questo nuovo modello di business e le loro caratteristiche.

Per prima cosa, si può affermare che i gestori e i proprietari delle piattaforme di sharing economy sono distribuiti in modo differenziato in Europa. Una ricerca del 2016 effettuata da Pwc segnala che esistono circa 300 piattaforma attive così distribuite: Francia e Regno Unito sono gli unici paesi che registrano un numero superiore a 50; in Spagna, Paesi Bassi e Germania esse sono circa 25 e in Belgio, Polonia, Svezia e Italia sono meno di 25. 

I principali settori da prendere in considerazione sono i seguenti:

  1. Ospitalità: Airbnb, Couchsurfing, HomeExchange;
  2. Trasporti: Uber, Lyft, Blablacar;
  3. Prestazione di lavoro e competenze: Taskrabbit, Mturk, Timerepublik;
  4. Ristorazione: Gnammo, Eatwith;
  5. Finanza: Kickstarter, Eppela.

Qualsiasi sia il settore, comunque, i modelli di business dell’economia della condivisione sono accumunati dal fatto che l’iniziativa intrapresa ha alle spalle un’organizzazione che deve essere retribuita. 

Per quanto riguarda gli utilizzatori della sharing economy, si può affermare che negli Stati Uniti, nel 2016, oltre 12,5 milioni di persone hanno usufruito dei servizi sharing prediligendo quelli di residenzialità temporanea e quelli di mobilità automobilistica. Si stima che oltre il 10% della popolazione adulta abbia utilizzato la sharing economy.

In Europa il numero di utenti che utilizza questo modello sono molto alti: vediamo in pole position l’Italia che è preceduta solo dalla Spagna. Essa, effettivamente, ricopre un posto molto più in alto nella classifica rispetto a Regno Unito, Germania e Francia.

I limiti dell’economia della condivisione

Nonostante siano stati registrati numeri significativi, bisogna ammettere che questi ultimi non siano neanche così spropositati. Effettivamente, bisognerebbe capire come mai, perfino negli Stati Uniti, la percentuale degli utenti che sfrutta la sharing economy è parecchio al di sotto della metà dell’intera popolazione.

Il primo e principale motivo è la mancanza di fiducia. Il 28% di essi non si fida del venditore, dell’offerente e del servizio, mentre il 27% non si fida delle transazioni su Internet. Oltre a questi due fattori, vi è anche la preoccupazione di non sapere di chi sia la responsabilità in caso di insorgenza di problemi.

Per bilanciare la asimmetria informativa che inevitabilmente si crea quando una delle due parti possiede più informazioni rispetto all’altra parte e, quindi, per cercare di limitare gli ostacoli, la soluzione che si propone è l’attività di signaling (segnalazione).

La segnalazione può essere espletata attraverso le seguenti azioni:

  • contratti di assicurazione: con la sottoscrizione di polizze con imprese del settore tradizionale;
  • Verifica dell’identità;
  • Sistema di recensioni per costruire la reputazione.

I lati negativi della sharing economy: esempi pratici

La sharing economy ha apportato senza dubbi tanti benefici ai cittadini e, allo stesso tempo, questi ultimi sono diventati imprenditori mettendo i loro beni o servizi a disposizione della comunità.

Tuttavia, non è del tutto corretto dire che la sharing economy sia un’opportunità di micro-imprenditorialità per chi vive in modo pesante la crisi economica. Infatti, vale sempre la logica per cui chi possiede beni può accumulare ulteriore ricchezza (per noleggiare qualcosa bisogna pur sempre possederla).

Morozov, ad esempio, invita a non credere alla rivoluzione della sharing economy. Egli si pone l’obiettivo di mostrare come i lavoratori dell’economia collaborativa (autisti di Uber, TaskRabbers di Taskrabbit e via dicendo) formano un vasto esercito proletario di riserva. Secondo il sociologo, questo sarebbe il “sogno proibito” del capitalismo: lavoratori a chiamata, senza garanzie contrattuali, difese sindacali, contratti collettivi, pagati «a cottimo», senza la possibilità di un impiego full-time.

L’economia della condivisione ha reso possibile lo sviluppo economico e sociale, da una parte. Invece, dall’altra, ha portato problemi relativi allo sfruttamento e alle condizioni di impiego.

Inoltre, la sharing economy doveva portare la disintermediazione del mercato ma, contrariamente, si sta verificando un processo di re-intermediazione ad opera di nuovi gatekeeper tecnologici basati su sistemi di ottimizzazione delle risorse.

Infine, questo modello può rappresentare una minaccia per gli operatori del mercato tradizionale. Solo per fare un noto esempio: Uber è sinonimo di opportunità per gli autisti e di risparmio e agilità per i passeggeri. Contemporaneamente, però, esso rappresenta una sfida regolativa per i legislatori nazionali e gli amministratori locali, nonché minaccia economica per i tassisti in possesso di regolare licenza che vedono svanire una fetta di mercato assorbita da Uber.

Conclusioni

Quindi, cos’è la sharing economy davvero? E, soprattutto, ha o non ha effetti positivi sulla nostra società?

Il dibattito sul tema non è ancora giunto a una teorizzazione soddisfacente.

Analizzando le esperienze degli utenti, si notano un insieme di motivazioni che, nella percezione dei provider, spingono i consumatori a sperimentare questi servizi. Tra queste ci sono soprattutto quelle economiche abbinate e quelle relative al desiderio di condivisione e collaborazione.

Inoltre, per gli operatori, l’economia della condivisione rappresenta un’innovazione economica, sociale e normativa. Interpretando nuove esigenze sociali e facendo della condivisione un lavoro, questi ultimi si credono vettori di un nuovo modello culturale in cui la sharing economy è un nuovo stile di vita, una risposta intelligente alla crisi economica. 

Queste evidenze, derivanti da un atteggiamento che celebra la nuova economia, fanno parte della natura della sharing economy che è focalizzata sulle singole piattaforme. 

Illustrare questa natura è la più rilevante direzione di ricerca futura che attende le scienze sociali. Effettivamente, adottando una prospettiva critica, si possono analizzare le conseguenze sociali di questo modello e, in particolare, il confine tra aspetti relazionali e commerciali della condivisione, i problemi in materia di regolamentazione e di sfruttamento del lavoro e l’instaurarsi di nuovi rapporti di dominio.

Occorre quindi considerare fino a che punto l’immagine ‘’salvifica’’ della sharing economy sia condivisa da chi ne fruisce. In più, bisognerebbe capire in che misura i vantaggi individuali superino le ricadute sulla collettività in termini di precarizzazione del lavoro, concorrenza ‘’sleale’’, rischi causati dall’assenza di regolazione e sorveglianza digitale. 

Nonostante ciò, è indubbio che la sharing economy sia stata in grado di far emergere una nuova società, caratterizzata da una nuova cultura ed un nuovo stile di vita.

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